Stefano Ricciuti
Mi sono occupato dapprima, nel corso delle ricerche per il Dottorato, di alcuni aspetti del tardo Illuminismo tedesco, in particolare nell’opera di M.Mendelssohn (1729-1786), che ha svolto riflessioni molto significative sul passaggio dall’età antico-medievale a quella moderna e contemporanea che anticipano la contrapposizione spengleriana di Kultur e Zivilisation, per poi passare alla storia del pensiero sociologico propriamente detta attraverso la mediazione di V.Pareto (1848-1923), autore molto eclettico che in un mix di fisica, economia e sociologia delinea una concezione ciclica ed al contempo moderatamente progressista della storia e degli eventi politici in primis. Quindi ho ampliato la mia visuale ad un’analisi delle analogie e delle differenze fra quest’ultimo ed il coevo M.Weber (1864-1920) ed in seconda battuta ho esteso ancora la portata della mia indagine all’opera di E.Durkheim (1858- 1917) e di G.Simmel (1858-1918), con l’obiettivo di far risaltare tutta l’originalità di un’epoca (il trentennio 1890-1920) decisiva per il consolidarsi della disciplina a livello europeo e globale. Sempre in tale ottica, più di recente ho spostato il centro dei miei interessi scientifici verso i molteplici contributi offerti da F.Toennies (1855-1936), per molti versi una sorta di quinto pilastro alquanto negletto, all’elaborazione del sapere sociologico classico, e da A.de Tocqueville (1805-1859), un autore che nelle sue indagini storico-comparative tra Europa ed America ha colto il sorgere della contemporaneità nei suoi aspetti politici e sociali senza tacerne i lati problematici od oscuri. Inoltre, sulla scia delle affinità e delle differenze in rapporto agli ultimi due studiosi per quanto riguarda i temi della globalizzazione e dell’impiego di polarità ante litteram idealtipiche nella spiegazione dei processi di mutamento sociale, ho concentrato la mia attenzione sull’intreccio di motivi filosofici, economici e sociologici che connota il pensiero di K.Marx (1818-1883), sia per il suo rilievo autonomo, sia nell’intento di delineare attraverso il confronto con gli altri classici citati una sorta di genealogia teorica di un tratto peculiare del mondo di oggi come l’ibridazione delle identità culturali. Infine, alla ricerca delle radici della disciplina sociologica, ho volto ancora una volta il mio sguardo all’indietro verso Herbert Spencer (1820-1903), che pur essendo considerato a ragione con Comte tra i padri fondatori per decenni non ha goduto di una buona stima a causa dell’identificazione completa del suo pensiero con l’evoluzionismo biologico ed in particolare con la sua degenerazione socio-darwinistica, mentre dalle mie ricerche in proposito ho tratto la convinzione che i suoi apporti puntuali alla scienza sociale esulano in buona misura, per ragioni cronologiche e sostantive, da tali condizionamenti, che indubbiamente ci sono, e spaziano da quello che ho chiamato collettivismo metodologico all’idea di una cultura che col tempo si rende autonoma dalle proprie basi organiche, dalla disamina dei pregiudizi che rendono arduo il compito dello studioso al tema dello sciupio vistoso, che anticipa Veblen, dal vagheggiamento di una Terza Via fra gli idealtipi della società militare e della società industriale, che fa pensare subito sia a Weber, sia a Toennies, alla nascita del consorzio civile dalle interazioni fra i singoli, un tema che con buona probabilità Simmel ha ripreso proprio da lui, a cui persino oppositori del calibro di Pareto e Durkheim devono molto. La considerazione degli influssi ricevuti dai sociologi successivi si è rivelata per me altresì un buon viatico allo studio approfondito delle opere di Auguste Comte (1798-1857), che malgrado i contributi fondamentali di autori più o meno recenti rivelano a mio modesto giudizio aspetti del tutto inediti, suscettibili di essere ripresi a patto di liberarsi dalle incrostazioni ideologiche che ancora ne dominano la lettura. Infatti, i debiti duraturi contratti con gli economisti liberali dell’epoca della Restaurazione, con la nascente scienza biologica, con le prime femministe borghesi, con i giacobini in merito alla fusione tra vita pubblica e privata ed all’impiego politico di simboli religiosi (che egli traspone alla temperie rivoluzionaria del 1848), con la frenologia e con l’arte strutturano un itinerario speculativo che, pur essendo fondamentalmente unitario, ritengo articolato in tre fasi, ciascuna delle quali consiste nel prendere posizione dinanzi ad un dilemma che di volta in volta contrappone la dottrina del laissez faire alla politica, l’organicismo ai tratti specifici del sociale, il modello fisiologico al primato dei sentimenti. Inoltre, nel corso dell’anno accademico 2011-2012 ho tenuto un ciclo di conferenze per il Dottorato di ricerca in Sociologia dell’Università degli Studi “G.D’Annunzio” di Chieti-Pescara sui temi delle mie indagini, e precisamente: Tocqueville (20 marzo); Marx (27 marzo); Pareto (3 aprile); Weber, Durkheim, Simmel (24 aprile); Toennies (8 maggio); I metodi di ricerca nella storia del pensiero sociologico (23 maggio).